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STORIA DELLA CAVA DI BRENNO
LA PREDERA
DI ilario TRABUCCHI

La Prederà è una cava di pietra, come si riscontra da varie fonti, era già attiva nei 1500.
La cava ha avuto 2 vite, una esterna che partiva dalla collinetta della Motta, fino all’entrata della nuova cava sotterranea.
Il Ghinôe ci rammenta che questa pietra di Brenno è stata usata per la Galleria Vittorio Emanuele di Milano, per alcune cappelle del Sacro Monte di Varese, per diverse stazioni ferroviarie, per le Certose di Torino e di Bologna. In quest’ultima su un basamento, a memoria, si legge l’incisione «Pietra di Brenno».
La pietra di Brenno è stata usata in tantissime località dell’Italia settentrionale, perché aveva caratteristiche simili al granito, quella cavata in superficie, e simile al marmo di Carrara quella cavata nel sottosuolo, essendo più morbida da lavorare a mano.
Nel 1596 la cava era di proprietà del Sig. Federico Bianchi di Barasso, che la diede in affitto ai progettisti e costruttori della facciata del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saranno.
La gestione della cava fu data al Sig. Domenico Ferrari di Arzo che fece cavare tutte le pietre necessarie per la costruzione, i pezzi maggiori (colonne e basamenti) vennero lavorati dallo — stesso Domenico Ferrari con i suoi collaboratori direttamente in cava, mentre la lavorazione dei pezzi di minor dimensione venne fatta a Viggiù, sotto la direzione di Pompeo Bianchi.
Per il trasporto della prima delie 16 colonne furono impiegati 14 coppie di buoi, succedutesi durante il percorso. Il viaggio durò 4 giorni, e fu necessario rinforzare il ponte di Vedano perché cedeva.
Le colonne inferiori sono lunghe mt. 4,73 peso kg.5113 l’una. Le colonne superiori sono lunghe mt.3,70 con un peso di 2646 Kg l’una.
La cava sotterranea è lunga circa mt.150 per circa mt.100 di larghezza, la profondità attuale è di circa mt.50, perché tante vene sono state chiuse con il materiale di scarto, per tanto è difficile stabilire la profondità reale. La superficie è di circa 13.000 mq.
Quello che racconto in merito alla cava sotterranea, per noi di Brenno la Predera, sono memorie riportate dal Sig. Fulvio Abbiati che vi lavorò in gioventù come "quadratore" negli anni 20.
In quegli anni gli operai erano più di 100 dei quali una trentina erano i cavatori, detti "cavandum”, gli altri erano sbozzatori e scalpellini; a loro volta gli scalpellini si dividevano in "quadratole” e “omatisti” ed erano quelli che rifinivano il lavoro completamente a mano o con l’aiuto di torni.
Nella cava non si è mai fatto uso di mine, ma si eseguiva tutto a mano, non c'era illuminazione perciò ogni operaio si doveva munirsi di una lampada ad olio prima di scendere al lavoro.
Come attrezzi si usavano lunghi scalpelli di cui rimangono ancora i segni sul sasso: “le spuntate”.
Le punte erano lunghe anche cm.70 e venivano usate una dietro l'altra «spunciot».
Come prima fase si eseguiva il "sottomasso", detto cielo, poi si delineavano i fianchi formando così la testata.
Il metodo usato per staccare i massi era simile a quello usato dagli Egiziani per costruire le piramidi però nel modo inverso, riempivano di ghiaia la parte sottostante la testata lasciando uno spazio minimo indispensabile per lavorare, il più delle volte era inferiore al metro. Eseguito il taglio finale per staccare il masso, questo risultava adagiato sulla ghiaia che in seguito veniva rimossa. Le dimensioni dei massi erano molto varie, circa mt. 5 per 2, quelli più grandi.
La cava avrebbe reso molto di più se ci fosse stata la possibilità di usare il filo elicoidale per il taglio dei massi, infatti si calcola che l'estrazione a mano producesse il 75% di scarti (scaiott).
Per trasportare i massi in superficie si usava uno “scendivia” con un binario su cui scorreva un vagoncino che trasportava la pietra dal punto di estrazione all'uscita della cava. Il vagoncino veniva fatto funzionare dal vapore prodotto da un caldaia a legna. La macchina a vapore fu sostituita in seguito con un argano a mano.
Nella parte più bassa ci sono 3 laghetti formati dalla sorgente del S. Rocco e dall'acqua piovana. Sicuramente ci sarà uno sfogo perché il livello non aumenta. (Fulvio -Zac)
Come conseguenza della cava, a Brenno si aprì una scuola di disegno e di progettazione artistica in modo che tutti fossero in grado di svolgere il proprio lavoro in modo professionale; la scuola rimase aperta anche dopo la chiusura della cava.
A Brenno si sono formati tanti scultori e scalpellini, che sono poi andati in tutta Italia ed anche all'estero, Francia ed in America, nel Vermont in particolare, come mio nonno Abbiati Francesco e suo Fratello Celestino, e tanti altri, tra questi il Sig. Comolli Luigi (ciudin) che ha scolpito alcuni capitelli della Casa Bianca, uno degli ultimi emigranti in America e poi ritornato a Brenno dopo la pensione è stato il Sig. Ronchetti Enrico.
Verso gli anni 50 la cava fu chiusa perché in fase di esaurimento ed anche perché a Baveno fu trovato un sasso simile e che costava meno, mentre le cave di Saltrio e Viggiù continuarono a produrre materiale di diversa malleabilità. L'ultimo gestore della cava è stato il Sig. Broggini Giovanni, in successione ai Sigg. Michele Cattò e Rocco Comolli.
Purtroppo la cava non è più visitabile perché è rimasta racchiusa all'interno di una proprietà privata.
ILARIO TRABUCCHI


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